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Gli anni Ottanta di Vasco Rossi

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Diego Giachetti, Odio i lunedì. Con Vasco Rossi negli anni Ottanta, Derive Approdi, 2024

Immagino che tutti coloro che si accostano a questo libro lo facciano per leggere di Vasco Rossi. Ebbene voglio andare controcorrente: il volumetto pubblicato da DeriveApprodi mi interessa perché sono un grande fan di Diego Giachetti! Anche se dal punto di vista anagrafico appartengo a quella generazione di sconvolti che ha dovuto rinunciare a santi ed eroi (in quegli anni facevo le superiori e Vasco imperversava ovunque) a me piacevano il rock americano, il blues, il jazz, la black music. Iniziata l’università, mentre Vasco era sold out addirittura negli stadi, interessandomi di storia contemporanea, di movimenti giovanili, di ʼ68 iniziavo a leggere i libri scritti da Diego Giachetti. Giachetti scrive con garbo e i suoi testi sono ricchi di informazioni e precisi. Come storico contemporaneo sa che per comporre un affresco credibile deve cercare le proprie fonti in posti anche non abituali per uno studioso e forse il punto più lontano in questo senso lo ha raggiunto con un volume monografico dedicato a Caterina Caselli (!) e gli anni Sessanta. Come giustamente ricorda nella quarta di copertina del libro si è già occupato due volte di Vasco Rossi, ma in questo caso l’indagine si concentra sugli anni Ottanta. La caduta improvvisa della stagione delle lotte e dell’impegno lascia una sorta di vuoto nichilista. Qui si inserisce la contestualizzazione perfetta che opera Giachetti andando a isolare e riprendere gli ingredienti di questo periodo, facendoli sbocciare dai testi delle canzoni di Vasco Rossi e poi inserendoli nell’universo socio-culturale del periodo. La discoteca, la riviera romagnola, la sacralità del weekend, la perdita di centralità del lavoro, l’edonismo, il femminismo, i tormenti adolescenziali…Sono tanti gli ingredienti che emergono dalle canzoni di Vasco e che possono aiutare a comprendere meglio un decennio cerniera tra il vecchio e il nuovo, con il crollo del Muro di Berlino a segnare un punto di non ritorno. Vasco canta una «solitudine generalizzata» e l’istantanea della realtà che scatta è la stessa osservata da più generazioni di ragazze e ragazzi che si identificano con i suoi rimpianti, le sue delusioni, le arrabbiature.

Scrive Giachetti: «Se vent’anni prima con Siamo solo noi aveva cantato la solitudine di una generazione di sconvolti, orfana delle prospettive rivoluzionarie e di cambiamento radicale delle strutture e della vita quotidiana, Siamo soli del 2001 narra la frantumazione del tessuto sociale e solidale, l’atomizzazione degli individui, privati del reticolo collettivo grazie al quale si poteva ancora condividere la solitudine». Insomma viviamo in un mondo alquanto desolato, però l’arte – e qui nello specifico la musica – rappresenta una medicina per l’anima che sembra funzionare. Apre il libro una lunga intervista a Vasco di Giachetti che parte proprio da una definizione degli anni Ottanta: «stupidi ma belli».


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