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Un Amore supremo (di Reno Brandoni)

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Reno Brandoni, L’amore supremo, Fingerpicking.net, 2024

Prefazione di Paolo Fresu, illustrazioni di Chiara Di Vivona

A Love Supreme, uno dei dischi fondamentali per il jazz (e non solo) è stato inciso nel 1964: compie quest’anno sessant’anni. Età invidiabile, portata con una peculiare freschezza, quella che appartiene ai capolavori senza tempo. Questo lavoro, scrive Paolo Fresu nell’introduzione, anela a connettere l’afflato creativo con il sovrumano, cosciente della inafferrabilità dell’arte e dell’apparente caducità della stessa. E’ giusto scrivere apparente caducità, perché queste sono note create per durare. La musica di Coltrane è stata pensata come arte, preghiera, canto di vita, omaggio al divino. La purezza di Coltrane nel comporre i suoi lavori è assoluta, non ci sono calcoli economici o show business che tengano qui, e si sente. Coraggiosamente Brandoni, chitarrista e scrittore con una carriera iniziata negli anni Ottanta, ammette, introducendo il suo lavoro, di non essere riuscito ad apprezzare A Love Supreme per anni. Una confessione non semplice, in grado di far inorridire i responsabili del sacro recinto del jazz, una ammissione in grado di portare scomuniche eterne, lacrime e stridor di denti. Ad un certo punto però Brandoni “si converte” al verbo di Coltrane e in particolare a questo disco. (Per inciso – e giusto per dire quanto sia importante A Love Supreme – pensiamo a quanti artisti di mondi espressivi diversi, dalla classica al rock si sono innamorati di questo disco o di quanti poeti vi hanno dedicato liriche emozionate). Questa premessa è doverosa per introdurre il racconto, un pastiche di ricordi coltraniani riassemblati con leggerezza dall’autore e accompagnati da disegni dominati dal colore blu (omaggio alle blue notes? Colore della notte?). La storia è semplice: Coltrane ha riunito in studio d’incisione il suo gruppo composto dai musicisti appartenenti alla storia del jazz con la maiuscola: il pianista McCoy Tyner, il bassista Jimmy Garrison, il batterista Elvin Jones, Leggende del jazz che dopo l’improvvisa morte del sassofonista hanno portato avanti il suo messaggio. Brandoni immagina le parole che Coltrane potrebbe aver utilizzato per spiegare la nuova musica che desiderava proporre. Immagina Coltrane confessarsi agli altri, parlare dei suoi dubbi e dei suoi errori, raccontare il proprio incontro con il divino. Colpiti dal suo discorso i tre musicisti cambiano e sono pronti a seguirlo.

Fu così che John Finalmente si alzò dalla sedia, si piazzò di fronte al faro azzurro che ora lo illuminava per intero come un angelo della notte e soffiò nel suo sassofono, immergendo tutti nella preghiera.

Questo libriccino, pensato per i più giovani ma gradevole per tutti, può essere un buon modo per avvicinare un disco epocale, uscito sessant’anni fa e voluto da un sassofonista che, forse con il solo Miles Davis, ha disegnato il jazz che è arrivato al nuovo millennio.


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